Lessico
Gerolamo Cardano
Icones veterum aliquot ac recentium Medicorum
Philosophorumque
Ioannes Sambucus / János Zsámboky
Antverpiae 1574
Medico, filosofo, matematico italiano (Pavia 1501 - Roma 1576). Si laureò a Padova in medicina (1526) che esercitò raggiungendo grande notorietà anche per l'uso di pratiche magiche e astrologiche. Nel 1534 fu incaricato di insegnare matematica e astronomia nelle scuole palatine di Milano.
In seguito fu in Scozia e, tornato in Italia, insegnò medicina a Pavia (1543-60) e a Bologna dove rimase fino al 1570, quando fu processato e imprigionato dall'Inquisizione, pare per aver compilato l'oroscopo di Cristo.Rilasciato, l'anno successivo andò a Roma, protetto da Gregorio XIII che gli assegnò una pensione a vita.
Come filosofo Cardano, attraverso la magia interpretata neoplatonicamente, giunse a una concezione del mondo di tipo evolutivo nella quale il rapporto tra l'Uno e i molti appare un fatto arcano (suggerito dalla prodigiosa somiglianza fra le cose) e non già una deduzione del pensiero.
Di ingegno versatile, Cardano mostrò una vivace curiosità in molti campi, lasciando una vastissima produzione tra cui emergono il De subtilitate (1547) e il De rerum varietate (1557) dove si parla tra l’altro del giunto cardanico. La sua opera, non molto originale, è un miscuglio di elementi scolastici tradizionali, di curiose ingenuità («il magnete vive e si nutre di ferro») e di interessanti osservazioni.
La sua fama resta legata agli scritti di matematica, in particolare all'Ars Magna (1545), ma, benché fosse forse il più abile algebrista dei suoi tempi, Cardano espone risultati dovuti ad altri, come la formula di risoluzione delle equazioni cubiche, che porta ancor oggi il suo nome, appresa da Niccolò Tartaglia, e quella delle equazioni quadratiche, dovuta al suo allievo Ludovico Ferrari. Cardano tuttavia ne ampliò i casi di applicabilità e iniziò la teoria delle equazioni algebriche dando alcune relazioni tra le radici e i coefficienti di un'equazione.
A Cardano si devono inoltre l'invenzione della sospensione e del giunto che da lui presero il nome e una dimostrazione sull'impossibilità di realizzare il moto perpetuo.
Giunti articolati
Vengono impiegati per trasmettere il moto tra alberi inclinati. Il più noto e più diffuso è il giunto cardanico (o cardano), che è realizzato in forme e dimensionamenti diversi secondo le condizioni di impiego, ma il cui schema funzionale è sempre lo stesso. È costituito da una crociera alle cui estremità opposte vengono collegate le estremità dei due alberi foggiate a forchetta. In questo giunto, se l'albero motore ruota con velocità angolare uniforme, l'albero condotto (pur compiendo lo stesso numero di giri) a ogni giro subisce accelerazioni e decelerazioni tanto più intense quanto maggiore è l'ampiezza dell'angolo esistente tra i due alberi collegati.
Per eliminare tale inconveniente il collegamento viene realizzato impiegando un doppio giunto cardanico che realizza la condizione di uguaglianza tra le velocità angolari: tale giunto viene definito anche giunto omocinetico. Per realizzare tale condizione fra due alberi sghembi non giacenti sullo stesso piano, il numero dei giunto necessari diventa quattro, cioè due coppie con uno scorrevole per coppia.
La vita di Gerolamo Cardano
di Paolo Colussi
L’infanzia
Gerolamo Cardano nasce a Pavia il 24 settembre 1501. Il padre Fazio, originario di Cardano presso Gallarate, aveva allora 56 anni. Si era laureato in medicina a Pavia ed era entrato a far parte del Collegio dei Giureconsulti. Insegnava alle Scuole Piatti, ed è citato da Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico (f.225) a proposito di un libro di matematica. Tra le sue opere va ricordato il commento al De perspectivis communis di Peckham, scritto nel 1480, uno dei testi più importanti sulla teoria della prospettiva. Personaggio curioso e in fama di mago, Fazio vestiva sempre di rosso con una cappa nera; forse era anche un po’ alchimista, vista la sua amicizia con il fabbro milanese Galeazzo Rossi, abilissimo nel creare straordinarie leghe d'acciaio e forse anche lui alchimista (quando il fabbro morirà alcuni anni dopo, Gerolamo sentirà battere un gran colpo nel muro).
La madre di Gerolamo, Clara Micheria, nel 1501 aveva 36 anni. Non era sposata con Fazio per cui, quando era rimasta incinta, per nascondere la gravidanza aveva dovuto trasferirsi a Pavia da un padrino - Isidoro Resta - fingendosi la sua governante e lì aveva messo al mondo Gerolamo.
Di genitori milanesi, Gerolamo nasce dunque a Pavia. Subito dopo la nascita, per sfuggire alla peste che imperversava, viene portato a Moirago dove resta a balia per 3 anni, finché nel 1504 viene portato a Milano dove vive con la madre e la zia Margherita. Qualche tempo dopo, Fazio e Clara decidono di convivere e così la famiglia finalmente riunita va ad abitare in via Arena.
Fin da bambino Gerolamo si dimostra dotato di grande spirito di osservazione e di una fervida immaginazione: al mattino nel dormiveglia passa molto tempo ad osservare diafani cerchietti che scorrono davanti ai suoi occhi prendendo varie forme. A otto anni inizia il lavoro. Deve accompagnare il padre dai clienti portando sulle braccia pesanti volumi, ma queste fatiche lo costringono spesso a mettersi a letto ammalato. In questi anni la famiglia cambia casa più volte, alla fine si stabilisce presso un parente "vicino al mulino dei Bossi". Dagli otto ai sedici anni, Gerolamo, sempre lavorando, impara dal padre a leggere e scrivere, la matematica e "certe nozioni quasi occulte". Dalla madre impara la musica che continuerà ad amare molto per tutta la vita.
Gli studi universitari
A sedici anni impara a usare le armi, a cavalcare, a nuotare e diviene abilissimo nel gioco delle carte, dei dadi e degli scacchi. Nel 1520 si iscrive all'università di Pavia, alla facoltà di Giurisprudenza, su consiglio del padre che la considera la carriera più redditizia. A Pavia gira di notte per la città con la faccia coperta da un velo nero e con il pugnale alla cintura: un'abitudine che avrebbe mantenuto per tutta la vita. Gli interessi verso l’occulto stanno ormai prevalendo. Nel 1521 compra da uno "sconosciuto" un Apuleio in latino, lo legge durante tutta la notte e il giorno dopo ha imparato a leggere e scrivere in latino. Quasi contemporaneamente impara nello stesso modo il greco, lo spagnolo e il francese (solo per la lettura). È ormai il momento di abbandonare l’arida giurisprudenza per esplorare i più allettanti territori della filosofia e della medicina. A filosofia, tra l’altro, insegnava Paolo Ricci (Paulus Riccius), ebreo convertito, medico dell'imperatore Massimiliano I e famoso divulgatore della cabala ebraica. L’anno seguente però l'università di Pavia deve chiudere i battenti per la guerra tra imperiali e francesi che infuria in tutta la Lombardia. Cardano si trasferisce a Padova dove nel 1524 consegue il bacellierato "in artibus", cioè medicina e filosofia. In questo stesso anno muore il padre Fazio che viene sepolto in San Marco con una lapide dettata da Gerolamo che portava questa scritta:
FACIO CARDANO
I.C.
MORS FUIT IT QUID VIXI, VITAM MORS DEDIT IPSA
MENS AETERNA MANET, GLORIA TUTA, QUIES
OBIIT ANNO MDXXIV KAL SEPT ANNO AETATIS LXXX
HIERONYMUS CARDANUS MEDICUS, PARENTI
POSTERISQUE
Data la magra eredità (per giunta contrastata da cause con i Castiglioni e i Barbiano) per mantenersi ricorre al gioco, una passione che lo porta a scrivere in volgare la prima versione del De ludis, un libretto dove si affrontano per la prima volta i problemi matematici della teoria della probabilità.
In questo periodo avverte i primi segni prodigiosi che lo fanno sempre più avvicinare al mondo dell’occulto: per esempio, sente un ronzio all'orecchio destro se parlano bene di lui, all'orecchio sinistro se parlano male. Nel 1526 si laurea in medicina a Padova e nel settembre dello stesso anno grazie a Francesco Bonafede, fondatore dell'Orto botanico di Padova, si stabilisce a Sacco (Saccolongo) per esercitare la professione. Continua a giocare, scrive alcuni libri sul Metodo di cura, sull'Epidemia e sulla Chiromanzia. I primi due, dice il Cardano, vengono distrutti "dall'orina dei gatti", cioè dal suo stesso disinteresse.
La conquista della fama
Con la pace di Cambrai e il ritorno di Francesco II Sforza la guerra in Lombardia è finita e si può rientrare a Milano. Gerolamo va ad abitare a San Michele alla Chiusa, nella casa della madre ormai stanca e ammalata. Siamo nel momento di più vivo interesse in Europa per la magia, e anche lui inizia a sentire attorno a sè uno "splendore" che lo protegge e lo aiuta.
Il 30 dicembre 1530 chiede di essere ammesso al Collegio dei fisici di Milano per poter esercitare la medicina, ma la domanda è respinta perché è illegittimo di nascita e non conta il fatto di essere stato legittimato dopo il tardivo matrimonio dei suoi genitori. Deluso torna a Sacco. Qui, nel corso di una malattia, sente la sua carne "odorare di zolfo, d'incenso e di altre sostanze". È un segno premonitore e infausto del matrimonio. Poco dopo infatti conosce una ragazza di Sacco, Lucia Banderini, che alla fine dell'anno sarà la sua sposa.
Formata una famiglia, bisogna cercare possibilità di carriera migliori di quelle offerte da un piccolo paese di campagna. Torna quindi a Milano e ripete la domanda di ammissione al Collegio dei Fisici, che viene ancora bocciata. Si trasferisce allora con la moglie a Gallarate dove può esercitare la professione e può sperare in qualche aiuto da parte dei Castiglioni di Cardano, suoi lontani parenti.
A Gallarate gli nasce il primogenito Giovanni Battista e fa la conoscenza di Filippo Archinto, il futuro arcivescovo di Milano appassionato di magia e astrologia, che gli commissiona due libri: uno sui testi magici di Agrippa di Nettesheim (De occulta philosophia Agrippae) e uno sull’astrologia (De astrorum judiciis). Ma le risorse della famiglia restano sempre scarse, anzi scarsissime, e i tentativi di porvi rimedio con il gioco si traducono in ulteriori perdite di soldi. Così torna di nuovo a Milano dove si riduce a vivere con la moglie e il figlio in un ospizio (xenodochio) che costa sette scudi all'anno di affitto. [Lo stipendio di un servo era di 5 scudi al mese.] È il punto più basso di una carriera che da qui in poi comincerà rapidamente a salire. Verso la fine del 1534 l'Archinto gli fa avere una cattedra di geometria, aritmetica e astronomia alle Scuole Piatti per 50 scudi l'anno. Insegnava nei giorni festivi. Con questo stipendio può affittare una casa. Fa mille lavori, cura in modo semiclandestino i canonici di Sant'Agostino e il loro priore Francesco Gaddi. Grazie sempre all'Archinto, stringe molte amicizie con persone influenti di Milano, scrive saggi su Euclide, Tolomeo, sul De Sphera mundi di John Halifax (Sacrobosco).
Nel giugno 1535, il Collegio dei Fisici, pur non accogliendolo tra i membri effettivi, gli consente di praticare l'arte medica. Inizia a curare persone influenti di Milano tra cui la famiglia Borromeo, - salvando anche la vita alla madre del futuro San Carlo, ammalatasi gravemente dopo un parto -, e la famiglia di Francesco Sfondrati, uno dei cui figli diventerà papa con il nome di Gregorio XIV.
Nel 1537 gli nasce la figlia Clara e gli muore la madre. Ospita come valletto un ragazzo di 15 anni, Ludovico Ferrari, e lo educa alla matematica. L’insegnamento della matematica sembra dirottare in questa direzione i suoi pensieri.
Due anni dopo si incontra con Tartaglia che gli rivela il suo metodo segreto di risoluzione delle equazioni cubiche. La pubblicazione di questo segreto procurerà al Cardano una enorme fama e le aspre rimostranze del Tartaglia.
Il 14 agosto 1539, grazie allo Sfondrati e ad altri amici, ottiene finalmente l'ammissione al Collegio dei Fisici di Milano. Dopo cinque anni la situazione è completamente cambiata. Le entrate sono soddisfacenti e gode di una certa fama come studioso. Il tipografo di Norimberga Joannes Petreius gli chiede di poter pubblicare qualche sua opera che sarebbe stata curata dal grande umanista e teologo Andreas Osiander. Cardano invia il De astrorum judiciis e in seguito altre opere. Diventa presto rettore del Collegio dei fisici e ha l’onore di reggerne lo stendardo per l'ingresso di Carlo V a Milano. Quando nel 1543 l'università di Pavia si trasferisce a Milano per paura di una nuova guerra con la Francia, Cardano accetta la cattedra di medicina, ma pensa di rinunciarvi, quando l’anno dopo gli chiedono di proseguire nell’incarico a Pavia, dove l’Università sta per ritornare. La notte prima del suo rifiuto crolla però parte della sua casa in San Michele alla Chiusa e questo evento viene interpretato come un segno favorevole al trasferimento.
Dal 1545 è a Pavia, ormai ricco e famoso. Pubblica a Norimberga l'Ars Magna il suo testo più geniale, che contiene le soluzioni matematiche prima ricordate. Diviene amico di Andrea Alciato appena rientrato a Pavia dove morirà nel 1550. Il re di Danimarca, su consiglio del Vesalio, gli offre di trasferirsi presso di lui per 1300 scudi l'anno, ma Cardano rifiuta. Scrive i consigli per i figli e una raccolta di favole De le burle calde. Si occupa di fisiognomica che lui chiama Metoposcopia, lettura del volto (soprattutto le pieghe della fronte) con metodi affini a quelli usati per la mano.
Nel 1550 pubblica a Norimberga il De subtilitate, il libro che gli procura maggior fama tra i contemporanei. Viene ripubblicato l'anno seguente a Parigi, Londra e Basilea. È una sorta di enciclopedia dello scibile in 21 libri (fisica, astronomia, metalli, pietre, piante, animali, uomini, scienze, arti, miracoli, demoni, sostanze prime, Dio e l'universo).
L’anno seguente lascia Pavia e torna a Milano, una città che si sta avviando verso una nuova stagione di benessere e dove fervono i lavori per i nuovi Bastioni voluti da Filippo II e dal Gonzaga.
In novembre arriva una lettera del medico di John Hamilthon primate di Scozia che gli chiede consiglio su come curare il vescovo. È ormai ora di farsi conoscere in Europa. Il 22 febbraio 1552 Cardano parte da Milano e dopo un breve soggiorno a Lione riparte per Parigi dove incontra i medici Fernelius e Silvius e altri studiosi, ma la città non gli piace. Il 3 giugno giunge a Londra e dopo altri 23 giorni è ad Edimburgo. Guarisce il vescovo che soffriva d'asma con diete, bagni, riposi e altre prescrizioni tra cui quella di evitare i cuscini di piuma. Il 13 settembre, dopo aver rifiutato le offerte della reggente Maria di Lorena, riparte per Londra con 1.400 scudi.
A Londra incontra Edoardo VI (quello del racconto Il principe e il povero di Mark Twain) e ne compila l’oroscopo prevedendo una vita tormentata ma lunga. Il giovane re invece morirà dopo pochi mesi. Torna a Milano passando per l'Olanda, il Reno, Basilea, Berna. Il 3 gennaio 1553, ormai famoso, rientra a Milano dal suo lungo viaggio. Il cardinale Ercole Gonzaga, reggente del ducato di Mantova e fratello di Ferrante, gli offre di entrare al suo servizio per 30.000 scudi all’anno, ma Gerolamo preferisce restare libero di continuare i propri studi nella vecchia casa di San Michele alla Chiusa. Dedica a John Hamilthon il commento al Tetrabiblos di Tolomeo, che riporta in appendice alcuni oroscopi tra cui quello di Cristo. È un segno di grande sicurezza da parte sua. Coloro che prima di lui, nel Trecento, avevano tentato la stessa operazione, erano finiti sul rogo. Viene stampato a Basilea il De rerum varietate in 17 libri, dove si parla tra l’altro del giunto cardanico.
La tragedia del figlio
Anche sul versante della famiglia le cose si stanno evolvendo, ma non sempre felicemente. La figlia Clara fa un buon matrimonio con il patrizio Bartolomeo Sacco. Molto più inquietanti sono invece le vicende matrimoniali del primogenito Gianbattista. Il 20 dicembre 1557 il Cardano ha una visione premonitrice della morte del figlio. Il giorno seguente, all'insaputa e contro la volontà del padre, Gianbattista sposa Brandonia Seroni, una ragazza appartenente ad una famiglia molto poco raccomandabile. Cardano non vuole ricevere in casa la coppia che deve vivere con pochissimi mezzi. Quando nasce il primo figlio, Fazio, il Cardano si è di nuovo trasferito a Pavia riprendendo la cattedra di medicina.
Nel 1560 scoppia la tragedia, preannunciata da una sogno funesto. La moglie di Gianbattista, dopo aver partorito un secondo figlio, rivela al marito che i due bambini erano figli di due suoi amanti. Poco dopo muore avvelenata e Giambattista viene arrestato e processato per uxoricidio. Il Cardano da questo momento avverte nell’anulare un segno che gli annuncia l’imminente morte del figlio, torna a Milano per difenderlo, ma tutti i suoi sforzi sono inutili: il 9 aprile Giambattista viene decapitato in carcere. Il segno sull'anulare scompare quella stessa notte. È il momento in cui il potere magico del Cardano si fa più intenso ed evidente. La sua ira contro gli accusatori del figlio provoca loro una serie di disgrazie, che arrivano a colpire persino il governatore. Cardano, affranto per quanto è accaduto, su suggerimento del suo "genio" trova temporaneo sollievo al suo dolore tenendo in bocca lo smeraldo della sua collana. Sono di questo periodo i suoi scritti più “neri”: il Theonoston sull'immortalità dell'anima, il De utilitate ex adversis capienda, il De Secretis e l'Encomium Neronis.
Gli ultimi anni
La morte infamante del figlio getta un’ombra anche sul padre e subito ne approfittano i molti nemici del Cardano. I professori di Pavia che mirano a prendere il suo posto lanciano su di lui pesanti accuse, tra cui quella di pederastia e intrigano forse addirittura per ucciderlo. A Milano è accusato di eresia, ma le accuse vengono stroncate dai suoi due importanti protettori: il cardinale Morone e il giovane Carlo Borromeo, appena salito agli onori grazie allo zio Pio IV. È lo stesso Carlo Borromeo a insistere perché Cardano lasci Pavia e assuma la cattedra di medicina a Bologna. Dopo molte trattative e difficoltà frapposte dai professori di questa università, l'11 giugno 1562 Cardano si dimette da Pavia e si trasferisce a Bologna come professore di medicina per 521 scudi l'anno. Per ringraziarlo, dedica al Borromeo la sua nuova opera - il Libro dei sogni - del quale si parla nella seconda parte di questa dispensa. A Bologna vive con il nipotino Fazio da principio in varie case d'affitto, poi in una casa di sua proprietà vicino alla chiesa di San Giovanni in Monte. Ha molto successo come medico, dimostrando una straordinaria capacità diagnostica. Poiché la passione del gioco non l’ha ancora abbandonato, ne inventa uno piuttosto macabro: le scommesse pubbliche sulle cause di morte. Quando moriva qualche suo paziente accettava scommesse sulla malattia che aveva causato il decesso. Vinceva o perdeva in base ai risultati dell’autopsia. Il suo grande impegno come medico in questi anni si traduce nella pubblicazione di alcuni libri di medicina dedicati a Pio IV e nella stesura del De natura (postumo) ultimo suo trattato filosofico sui corpi e l'anima.
Dal 1562 al 1570 gli anni trascorrono abbastanza felicemente tra lo studio, l’insegnamento e l’esercizio della professione, però attorno a lui il clima sta mutando. La chiusura del Concilio di Trento e l’avvio della Controriforma segnano la fine delle illusioni rinascimentali di una religione capace di conciliare ermetismo magico e teologia. Per i maghi iniziano i tempi duri. Il 6 ottobre viene arrestato dal Sant'Uffizio per eresia, resta in carcere 77 giorni e poi ottiene di commutare la prigione con gli arresti domiciliari versando una cauzione di 1800 scudi. Dopo tre mesi, il 18 febbraio 1571, ha luogo il processo che si risolve con una condanna mite grazie alla sua tarda età, ai suoi protettori (Morone e Borromeo) e alla sua grande fama come medico: deve abiurare (privatamente) da alcuni errori del De rerum varietate; non deve più pubblicare né insegnare. Lasciato l'insegnamento, resta per un po’ a Bologna come medico. A settembre con il fedele Silvestri (che diventerà medico personale e amico di San Filippo Neri) e il nipote Fazio si trasferisce a Roma, dove abita in diverse zone della città. Cura molti prelati e cardinali, e ottiene dal nuovo papa Gregorio XIII una pensione. Sono anni di solitudine e di amare considerazioni sugli uomini: "quale uomo mi potresti proporre che non si porti sempre appresso una borsa d'escrementi e un otre d'orina?". Esprime il desiderio di trascorrere la vecchiaia in luoghi felici dichiarando una serie di preferenze assai curiose: in Italia all'Aquila o a Porto Venere, fuori d'Italia a Monte San Giuliano in Sicilia, a Dieppe sul fiume Arques, a Tempe in Tessaglia. Se fosse stato più giovane sarebbe andato in Cirenaica, in Palestina o nell'isola di Ceylon.
Nell’ autunno del 1575 inizia a scrivere la sua celebre Autobiografia (De vita propria) terminata nel maggio dell’anno successivo. Verrà pubblicata a Lione nel 1642. In estate redige l'ultimo testamento lasciando al nipote Fazio un patrimonio valutato 8100 scudi, incluse le case di Pavia e di Bologna. Al terzogenito Aldo, vissuto sempre in modo molto scombinato, va una piccola pensione. Vuole essere sepolto a Milano in San Marco accanto al padre e al figlio Gianbattista. Aveva previsto la propria morte per il 5 dicembre 1573 e invece muore a Roma forse il 20 settembre 1576. Poiché a Milano infuriava la famosa peste di San Carlo non viene subito trasportato a San Marco, ma è sepolto provvisoriamente in San Andrea a Roma. Non si sa dove sia la sua tomba definitiva.
Nel 1663 vengono pubblicate a Lione le sue Opere in 10 volumi a cura di Charles Spon. Sono ben 130 titoli.
www.storiadimilano.it
Gerolamo
Cardano
Non solo il giunto
di Luciano Sterpellone
Il
giornale della Previdenza ENPAM
6/2010
Conosciuto oggi più per le sue scoperte matematiche e meccaniche, fu nel XVI secolo anche un famoso e apprezzato medico. Della sua vita travagliata ci rimane la testimonianza della sua autobiografia (De vita propria), pubblicata postuma nel 1643.
Con una punta d'orgoglio ricordiamo che l'aggettivo "cardanico" riferito al noto "giunto" dell'albero di trasmissione dell'auto, deriva dal nome di un medico nato a Pavia nel 1501 ed entrato ufficialmente anche nella storia della Medicina: Gerolamo Cardano. Dopo la laurea a Bologna, era andato a Milano per intraprendere la professione. Ma v'era un grosso impedimenta: suo padre Facio, avvocato e matematico, aveva avuto la pessima idea di concepirlo con la sua amante, Clara Micheri, perciò, come illegittimo, Gerolamo era considerato"bastardo", quindi indegno di essere accolto nel Collegio dei Medici (Nobili physici) milanesi, requisito questo essenziale per esercitare nella città. Andò allora a fare il medico condotto a Saccolongo, vicino a Padova, trovando anche il tempo di compilare scritti sulla terapia, sulla peste, sulle malattie veneree e sull'immortalità dell'anima. Poi, racimolato un po' di denaro ritentò la via di Milano: questa volta il Collegio - bontà sua - gli consentì solo di assistere alle adunanze: ma Gerolamo, offeso, scrisse allora un libellus - De malo recentiorum medicorum medendi usu, in cui denunciava i ben 72 errori della pratica medica corrente. E prese a occuparsi anima e corpo dei suoi interessi preferiti: filosofia, alchimia, astrologia, ma principalmente matematica e fisica.
Il suo "giunto articolato", un'invenzione davvero geniale e rivoluzionaria, fu applicato per la prima volta nel 1548 nella carrozza dell'Imperatore del Sacra Romano Impero Carlo V. I libri che scrisse nel frattempo gli fruttarono un ripensamento del Collegio dei Medici, che si degnò finalmente di accoglierlo nel proprio seno. Ottenne l'incarico di lettore di Medicina a Pavia, ma le sue lezioni erano di solito rivolte a banchi desolatamente vuoti; pertanto, non venendogli per questo più corrisposto lo stipendio (secondo l'uso del tempo) rinunciò all'incarico. Sarà il suo nuovo libro Ars magna a portargli fortuna e a dargli improvvisamente fama in tutta l'Europa, sino a giungere all'orecchio di John Hamilton, il quarantenne arcivescovo del St. Andrew's di Edimburgo, ii quale da dieci anni soffriva di accessi di asma bronchiale che gli facevano temere di essere tubercoloso.
I medici sin'allora giunti in Scozia dalla Corte francese e spagnola avevano sentenziato che tutto derivava dal fatto che il suo cervello era "freddo e umido", donde un accumulo di una secrezione di flegma "che scolando attraverso l'arteria trachea nei polmoni" provocava tosse, espettorazione e dispnea (la trachea veniva detta "arteria", intesa etimologicamente come "via per l'aria"; trachea dal greco trachùs, perché rugosa).
Udito il nome di Cardano, nel 1552 l'arcivescovo lo fece chiamare a Edimburgo aggiungendo all'invito l'allettante somrna di 400 corone d'oro "per le prime spese". Il medico non se lo fece ripetere due volte: ma, giunto in loco, per quaranta giorni non prese alcun provvedimento, limitandosi ad osservare e annotare in silenzio tutto quel che faceva il dottor Cassinate, medico personale dell'alto prelato. Poi convocò gli altri medici e senza mezze parole disse loro che non avevano capito nulla: il cervello dell'arcivescovo non era affatto freddo e umido, ma ... caldo e secco! Il che a suo avviso faceva sì "che gli umori distillati nello stomaco risalissero al cervello e ai polmoni, quivi provocando i suddetti disturbi".
Stilò allora una chilometrica ricetta (consilium) nella quale, dopo aver tessuto lodi spericolate sull'autorità di Galeno (estinto millequattrocento anni prima!) elencava (con grande stizza del paziente) una drastica serie di divieti dietetici e libatori, prescrivendo inoltre - "per spurgare dagli umori il cervello e i polmoni" - applicazioni di un unguento revulsivo sull'apice del cranio (sic) e la somministrazione di una miscela di latte, acqua ed eleuterio attraverso le narici. Ora, chi sta leggendo queste righe - pur giustificando Gerolamo Cardano alla luce del precario "stato dell'arte medica" del suo tempo - si chiede il perché egli sia entrato nella storia della Medicina. Il fatto è che, tra le suddette prescrizioni, figurava anche quella di far dormire il paziente non più sul materasso di piume sul quale Hamilton riposava abitualmente, ma su di uno riempito con cascame di seta; e anche il cuscino non doveva più essere ripieno di strisce di cuoio, ma di stoffa. In altre parole, pur se solo empiricamente, Cardano aveva intuito che i disturbi dell'arcivescovo dipendevano tutti da quella condizione che oggi chiamiamo "allergia" (in questo caso verso le piume) ben quattrocento anni in anticipo sugli scienziati del primi del 1900. Come lo stesso medico riferisce nel suo De vita propria liber in breve il paziente si sentì meglio e guarì, ricompensandolo con altre 1400 corone d'oro (una vera fortuna), più un collare d'oro, un cavallo da sella interamente bardato, e un'infinità di altri doni "tanto che nessuno del mio seguito se ne partì a mani vuote".
Quando però si dice la cattiva sorte. Cardano, che era anche un esperto astrologo, invitato qualche tempo prima a predire il futuro al Re di Scozia e dello stesso Arcivescovo, aveva ovviamente sentenziato che sarebbe stato quanto mai radioso. Ma di lì a poco il prima morì di tubercolosi, il secondo fu impiccato dai riformatori scozzesi. Così, a che la Scozia conservasse almeno la sua buona fama di medico, a questi non restò che rifare precipitosamente le valigie...
Tornato in Italia, insegnò Medicina a Milano, Pavia e Bologna, e praticò le prime nefrectomie e uretrotomie "togliendole dalle mani dei praticoni"; inoltre, inconsapevole antesignano del russo Voronoff, consigliò l'impiego di estratti di testicoli di toro nei soggetti deboli e depressi. Scrisse oltre un centinaio di libri tra i quali il De methodo medendi, il De sanitate tuenda e il De causis signis ac locis morborum, stampato nel 1582 a Basilea dopo la sua morte. Degno di rota anche il Liber de ludo aleae, sui rischi del gioco, in cui l'eclettico medico e matematico - accanito giocatore di dadi e di carte - riuscì a elaborare e descrivere la teoria delle probabilità.
Ma la fortuna gli voltò improvvisamente le spalle. Nel 1562 fu incarcerato dall'Inquisizione per le sue idee poco ortodosse e per aver formulato un oroscopo di Cristo. Venne assolto dopo sette mesi previa abiura. Quando dieci anni dopo il nuovo papa Gregorio XIII gli concesse una pensione e l'ingresso al Collegio dei Medici di Roma e tutto sembrava tornare nella norma, Gerolamo Cardano fu travolto da una tragedia familiare: dei due figli avuti "dopo anni di impotenza", dal "disgraziato matrimonio" (così da lui definito) con Lucia Bandarini, il primo venne decapitato dial boia per avere avvelenato la moglie, il secondo - noto per la vita dissoluta e le mille malefatte - fu incarcerato dietro denuncia dello stesso padre per aver commesso un furto. Triste fine per un medico così eclettico, anticonformista, stravagante e geniale, che alcuni storici, magari un po' esagerando, hanno definito "il piccolo Leonardo da Vinci".
Ars
magna (1545) è la sua maggiore opera matematica.
È qui che pubblica il metodo risolutivo per le equazioni di terzo e quarto
grado.